Il mondo delle religioni, maggio-giugno 2005 —

Pensatore, mistico e papa di eccezionale carisma, Karol Wojtyla lascia tuttavia al suo successore un'eredità contrastante. Giovanni Paolo II ha abbattuto molti muri, ma ne ha eretti altri. Questo lungo e paradossale pontificato di apertura, in particolare verso le altre religioni, e di chiusura dottrinale e disciplinare, segnerà, in ogni caso, una delle pagine più importanti della storia della Chiesa cattolica e senza dubbio di tutta la storia. Mentre scrivo queste righe, i cardinali si stanno preparando a eleggere il successore di Giovanni Paolo II. Chiunque sarà il nuovo papa, dovrà affrontare numerose sfide. Sono queste le principali questioni per il futuro del cattolicesimo che affronteremo in un rapporto speciale. Non riprenderò le analisi e i numerosi punti sollevati in queste pagine da Régis Debray, Jean Mouttapa, Henri Tincq, François Thual e Odon Vallet, né gli interventi di vari rappresentanti di altre religioni e confessioni cristiane. Mi limiterò a richiamare l'attenzione su un aspetto. Una delle principali sfide per il cattolicesimo, come per qualsiasi altra religione, è quella di tenere conto dei bisogni spirituali dei nostri contemporanei. Tuttavia, questi bisogni si esprimono oggi in tre modi ben poco in linea con la tradizione cattolica, il che renderà estremamente arduo il compito dei successori di Giovanni Paolo II.

In effetti, fin dal Rinascimento, abbiamo assistito a un duplice movimento di individualizzazione e globalizzazione che si è accelerato negli ultimi trent'anni. La conseguenza a livello religioso: gli individui tendono a costruire la propria spiritualità personale attingendo al serbatoio globale di simboli, pratiche e dottrine. Un occidentale oggi può facilmente definirsi cattolico, essere toccato dalla persona di Gesù, andare a messa di tanto in tanto, ma anche praticare la meditazione Zen, credere nella reincarnazione e leggere i mistici sufi. Lo stesso vale per un sudamericano, un asiatico o un africano, che sono stati anch'essi, e da tempo, attratti da un sincretismo religioso tra cattolicesimo e religioni tradizionali. Questo "bricolage simbolico", questa pratica del "fuoripista religioso", tende a diffondersi, ed è difficile immaginare come la Chiesa cattolica possa imporre ai suoi fedeli una rigorosa osservanza del dogma e della pratica a cui è molto legata.

Un'altra sfida colossale: il ritorno del pensiero irrazionale e magico. Il processo di razionalizzazione, da tempo in atto in Occidente e che ha profondamente permeato il cristianesimo, sta oggi provocando una reazione negativa: la repressione del pensiero immaginario e magico. Tuttavia, come ci ricorda qui Régis Debray, più il mondo diventa tecnico e razionalizzato, più suscita, in compenso, una richiesta di affettività, emozione, immaginario e mito. Da qui il successo dell'esoterismo, dell'astrologia, del paranormale e lo sviluppo di comportamenti magici all'interno delle stesse religioni storiche, come la rinascita del culto dei santi nel cattolicesimo e nell'Islam.

A queste due tendenze si aggiunge un fenomeno che sta sconvolgendo la prospettiva tradizionale del cattolicesimo: i nostri contemporanei sono molto meno interessati alla felicità nell'aldilà che a quella terrena. L'intera pastorale cristiana sta cambiando: non predichiamo più il paradiso e l'inferno, ma la felicità di sentirsi salvati fin da ora perché abbiamo incontrato Gesù in comunione emotiva. Interi settori del Magistero rimangono fuori passo con questa evoluzione, che privilegia il significato e l'affetto rispetto all'osservanza fedele di dogmi e norme. Pratiche sincretiche e magiche in vista della felicità terrena: questo è ciò che ha caratterizzato il paganesimo dell'Antichità, erede delle religioni della preistoria (vedi il nostro dossier), contro cui la Chiesa ha lottato così duramente per affermarsi. L'arcaico sta tornando prepotentemente nell'ultramodernità. Questa è probabilmente la sfida più grande che il cristianesimo dovrà affrontare nel XXI secolo.