Le Monde , 20 marzo 2009.

La Chiesa cattolica sta attraversando una crisi di portata senza precedenti da diversi decenni. Questa crisi è tanto più profonda perché la sua credibilità è stata minata in tutti gli ambienti: tra i non cattolici, tra i cattolici di cultura e tra i fedeli praticanti. La Chiesa non è vittima di un'aggressione esterna: le cause dei suoi mali attuali non sono opera di "nemici della fede" o anticlericali. Due gravi casi, di responsabilità della sua gerarchia, ne hanno brutalmente messo a nudo le contraddizioni: la revoca della scomunica di quattro vescovi fondamentalisti, tra cui uno che aveva idee negazioniste dell'Olocausto, e la scomunica, quasi contemporaneamente, da parte dell'arcivescovo di Recife, di una madre e di un'équipe medica che avevano praticato un aborto su una bambina di 9 anni incinta di due gemelli, vittima di stupro e la cui vita era in pericolo.

A ciò si aggiungono le parole di Benedetto XVI sull'aereo che lo portava in Africa, il continente più colpito dalla pandemia di AIDS: "Non possiamo risolvere il problema dell'AIDS distribuendo preservativi; al contrario, il loro uso aggrava il problema". La prima vicenda ha scandalizzato in particolare le odiose dichiarazioni negazioniste del vescovo Williamson e la triplice colpa del Vaticano, che non ha informato il Papa di dichiarazioni note agli ambienti informati fin dal novembre 2008; che ha promulgato il decreto il 24 gennaio, mentre queste dichiarazioni erano sulle prime pagine dei media mondiali dal 22 gennaio; e infine per la lentezza della loro condanna.

Ma questa revoca "incondizionata" della scomunica, preambolo di un processo di reintegrazione nella Chiesa, ha profondamente turbato anche molti cattolici legati al Concilio Vaticano II (1962-1965) e ai suoi valori di libertà religiosa e dialogo con le altre religioni, costantemente negati dai fondamentalisti. Nella lettera ai vescovi resa pubblica il 12 marzo, il Papa riconosce gli errori nella gestione della vicenda Williamson e tenta di giustificare la revoca della scomunica con l'argomento della misericordia: "Chi proclama Dio come amore spinto "fino alla fine" deve dare testimonianza dell'amore: dedicarsi con amore a coloro che soffrono".

Si potrebbe comprendere che, in nome del messaggio evangelico, il Papa voglia perdonare e dare una nuova possibilità alle pecore smarrite che da anni pronunciano parole estremiste e intolleranti. Ma allora perché la Chiesa continua a vietare la comunione ai divorziati risposati? Perché condanna con tanta durezza i parenti di una ragazza violentata che le ha salvato la vita facendola abortire? La misericordia dovrebbe applicarsi solo ai fondamentalisti? E come può lo stupro di un bambino essere considerato meno grave di un aborto, soprattutto se compiuto per motivi vitali?

Lo scandalo è tale che diversi vescovi francesi si sono levati per condannare una decisione ingiusta che contraddice non solo la morale comune, ma anche il messaggio evangelico. Basti citare l'episodio in cui Gesù si rifiuta di condannare una donna adultera, che, secondo la legge, deve essere lapidata, e dice agli ultra-legalisti dell'epoca: "Chi è senza peccato scagli la prima pietra" (Gv 8). Lui stesso ha trasgredito più volte la legge religiosa. Dostoevskij aveva immaginato che se Gesù fosse tornato nella Spagna di Torquemada, sarebbe stato condannato al rogo per aver predicato la libertà di coscienza. Ci si chiede, nella Chiesa di Benedetto XVI, se non sarebbe stato scomunicato per aver sostenuto il superamento della legge attraverso l'amore?

Nessuno chiede alla Chiesa di rinunciare a far valere le proprie convinzioni. Ma ciò che non è accettabile è il modo teorico e talvolta brutale utilizzato dalla gerarchia per riaffermare la norma, quando esistono solo situazioni concrete, singolari e complesse. Come ha sottolineato Mons. Yves Patenôtre, Vescovo della missione francese, la decisione di scomunica pronunciata dall'Arcivescovo di Recife, confermata da Roma, "ignora la pratica pastorale tradizionale della Chiesa cattolica, che è quella di ascoltare le persone in difficoltà, di accompagnarle e, in materia di morale, di tenere conto del 'male minore'". Lo stesso si può dire per la lotta contro l'AIDS. L'uso del preservativo non è senza dubbio la soluzione ideale, ma rimane, di fatto, la migliore difesa contro la diffusione dell'epidemia per tutti coloro che hanno difficoltà a vivere l'astinenza e la fedeltà propugnate dalla Chiesa. I sacerdoti africani ne sanno qualcosa.

La storia della Chiesa è segnata da questa tensione permanente tra la fedeltà al messaggio di compassione per ogni persona del suo fondatore e l'atteggiamento dei suoi dirigenti che spesso finiscono per perdere di vista questo messaggio per privilegiare l'interesse dell'istituzione - divenuta fine a se stessa - o per rinchiudersi in un legalismo puntiglioso, assurdo e disumanizzante.

Il pontificato di Giovanni Paolo II è stato segnato da una profonda ambiguità: intransigente e tradizionalista sul piano morale e dottrinale, è stato anche un uomo di dialogo e di cuore, moltiplicando gesti forti verso gli umili e le altre religioni. Benedetto XVI è l'erede solo del lato conservatore del suo predecessore. E non ci sono più nella Chiesa l'Abbé Pierre o Suor Emmanuelle, questi "credenti credibili", a inveire contro decisioni dogmatiche disumanizzanti, svolgendo così un ruolo catartico e fungendo da preziosi mediatori tra i fedeli e l'istituzione.

Uno scisma silenzioso minaccia la Chiesa di sinistra, ben più grave di quello dei tradizionalisti. Benedetto XVI intendeva rievangelizzare l'Europa. Forse è riuscito solo a riconquistare una manciata di fondamentalisti, a costo di perdere molti fedeli attaccati ai valori evangelici e persone in cerca di senso a cui Roma sembra non poter più offrire altro che dogmi e norme.