Rivista di psicologia, novembre 2001 —

Dall'11 settembre, lo spettro del fanatismo religioso aleggia nelle menti delle persone e molti si chiedono se la violenza sia intrinseca all'Islam. Basandosi non solo sulla storia, ma anche sui versetti del Corano, alcuni sostengono che questa religione sia visceralmente fanatica e bellicosa. Non ammetterlo, affermano, sarebbe un errore grave quanto la cecità degli occidentali nei confronti del comunismo o del nazismo. Dopo il mio ultimo articolo, ho ricevuto diverse email da lettori di "Psychologies" in questo senso. Lo ripeto con chiarezza: non condivido questa visione delle cose.

Scritto circa trent'anni dopo la morte del Profeta sulla base di tradizioni orali, il Corano è permeato da un'ideologia che mirava alla conquista dell'Islam. Il famoso jihad, l'appello alla guerra santa, ingiunge ai musulmani di combattere contro gli infedeli – "che non sono altro che immondizia" – per convertirli (sura 9). Ma, accanto a questi testi, troviamo numerosi detti che presentano Dio come "il Misericordioso, pieno di misericordia" (sura 1) e invitano i credenti a conformare la propria vita alla giustizia e alla misericordia divina (sura 3, 5).

Questa ambivalenza tra amore e violenza non è esclusiva del Corano. È opera di religioni che affermano di essere "rivelate", ovvero date da Dio ai credenti attraverso un testo sacro. La Bibbia contiene numerosi passaggi in cui Dio comanda agli ebrei di massacrare i loro avversari per conquistare la Terra Promessa (Giosuè 8), e al tempo delle Crociate, la Chiesa cattolica trovò nelle Scritture una giustificazione per la sua politica di conquista e sterminio. Proprio come i Vangeli diedero origine a Francesco d'Assisi e al Grande Inquisitore, il Corano ispirò le più belle poesie d'amore e gli attentati dell'11 settembre.

Questa ambiguità dei testi solleva la questione della loro interpretazione. Un'interpretazione letterale dei versetti più belligeranti conduce necessariamente agli estremi peggiori. Il fanatismo si nutre di fondamentalismo. Nel tempo, e sotto l'influenza della modernità, le comunità ebraiche e cristiane hanno sviluppato una lettura critica delle loro Scritture. Ciò le ha condotte a un'interpretazione umanistica, offrendo una spiegazione spirituale, allegorica o simbolica di passi che sembrano contraddire le nozioni, riconosciute come fondamentali, di amore e rispetto per gli altri.

Il vero problema dell'Islam non è quindi il Corano, ma la paura della modernità di molti leader religiosi e l'assenza di un'interpretazione comune che possa dare priorità alle contraddizioni del testo stesso, attraverso una lettura che favorisca una fede rispettosa degli altri, soprattutto delle donne e dei non musulmani. Su questo punto, l'Islam, nato quasi quindici secoli dopo l'Ebraismo e sei dopo il Cristianesimo, è ancora una religione "giovane". Eppure, fin dalle sue origini, alcune correnti mistiche come il Sufismo si sono fatte carico di questo compito. Il Jihad non è stato più interpretato come una conquista bellica, ma come uno sforzo su se stessi, una conquista interiore, in cui l'infedele diventa tutto ciò che resiste alla fede e all'amore di Dio nel cuore del credente. Purtroppo, tali letture sono rimaste marginali, osteggiate da autorità timorose di privilegiare lo spirito sulla lettera.

La strumentalizzazione del Corano da parte dei terroristi rende urgente per i molti musulmani pii e pacifisti rileggere criticamente le loro fonti e intraprendere un lavoro istituzionale di interpretazione. Solo allora la comunità musulmana sarà in grado di contrastare le letture più settarie con un'interpretazione autorevole del testo coranico, squalificando così le interpretazioni di leader in cerca di vendetta contro l'Occidente (Bin Laden) o nostalgici di una società interamente soggetta alla Sharia (Talebani). E certamente non li aiuteremo a compiere questo salutare sforzo demonizzandoli, allo stesso modo in cui i loro fanatici demonizzano gli occidentali.

Novembre 2001